Il tumore prostatico

Un caso di adenocarcinoma prostatico pseudoiperplastico, un raro tumore che mima l’ipertrofia prostatica benigna.
Tratto da (vai a librepathology.org)

La prostata è una ghiandola dell’apparato genitale maschile, delle dimensioni di una castagna, posta al di sotto della vescica e attraversata dall’uretra.

Il cancro della prostata è uno dei tumori maligni più frequenti: colpisce circa un uomo su sette in Italia.

I sintomi – Nelle fasi iniziali la sintomatologia del tumore prostatico è sostanzialmente assente. L’assenza di sintomi sottolinea l’importanza della diagnosi precoce mediante le seguenti procedure di screening: visita urologica con esplorazione rettale e dosaggio dell’ormone prostatico (PSA).

Nelle fasi avanzate il cancro della prostata può determinare una serie di sintomi e segni, tra i quali ematuria (sangue nelle urine), emospermia (sangue nello sperma), ritenzione urinaria (incapacità di urinare). Se il tumore si propaga alle strutture limitrofe, potrà comparire dolore nell’area circostante alla proiezione della prostata. In caso di diffusione linfonodale potrà essere presente l’edema dei linfonodi della regione perineale e degli arti inferiori; l’insorgenza di dolori ossei potrebbe essere sintomo di presenza di metastasi ossee. 

Diagnosi – Per fortuna, la diagnosi di tumore della prostata viene effettuata in molti casi in pazienti asintomatici (e quindi con stadio basso di malattia) grazie alle procedure di screening: visita specialistica urologica con esplorazione rettale e dosaggio dell’ormone prostatico (PSA), da eseguire annualmente a partire dai 50 anni di età; soggetti con familiarità per carcinoma prostatico dovrebbero entrare nel programma di screening dai 40 anni di età. Bisogna ricordare che il PSA, da solo, non ha alcun valore diagnostico.

Nei casi dubbi alle procedure di screening, l’utilizzo dell’ecografia trans-rettale consente un’indagine accurata della prostata e, se necessario, di eseguire biopsie prostatiche ecoguidate.

Trattamento – La cura del carcinoma prostatico richiede un approccio chirurgico che può essere accompagnato da radioterapia e terapia farmacologica. 

La chirurgia classica consiste nella prostatectomia radicale, una tecnica molto invasiva che determina l’asportazione per via retro pubica della prostata, delle vescicole seminali e eventualmente dei linfonodi loco-regionali e la successiva anastomosi tra uretra e vescica. Questa tecnica è gravata da severe complicanze, tra cui impotenza (deficit erettile) e incontinenza urinaria. Per ridurre le complicanze, negli ultimi anni la chirurgia del tumore prostatico si è spostata progressivamente ad approcci laparoscopici e, più di recente, alla chirurgia robotica (VEDI LINK).

L’ipertrofia prostatica benigna

L’ipertrofia o iperplasia prostatica benigna (IPB) è una patologia caratterizzata dall’ingrossamento della prostata, che è una ghiandola dell’apparato genitale maschile, al cui interno passa l’uretra, il condotto che porta l’urina dalla vescica all’esterno.

L’aumento di volume della prostata può essere dovuto all’aumento di numero e volume delle cellule che la compongono, oppure alla formazione di noduli. Le forme benigne sono frequenti e legate ai cambiamenti ormonali dovuti all’invecchiamento: interessa il 5-10% degli uomini dopo i 40 anni di età e oltre l’80% dopo i 70 e 80 anni (sebbene solo la metà delle persone ha sintomi). La familiarità riveste un ruolo importante in questa malattia. L’ipertrofia prostatica non è un fattore di rischio per lo sviluppo del tumore prostatico.

I sintomi – L’ingrossamento della prostata determina la compressione sul canale uretrale, causando difficoltà a iniziare la minzione, flusso intermittente o debole e sforzo nella minzione. Si possono determinare poi sintomi irritativi: frequenza aumentata nell’urinare (pollachiuria), aumentato bisogno di urinare durante la notte (nicturia), la necessità di svuotare la vescica (urgenza minzionale) e bruciore mentre si urina.

La diagnosi e la prevenzione – La visita urologica con esplorazione rettale digitale è efficace nel diagnosticare l’ipertrofia prostatica benigna. Questo esame, effettuato di routine sopra i 40-50 anni, consente di fare diagnosi precoce della patologia. Nei casi dubbi, l’urologo potrà consigliare altri esami, tra cui l’ecografia prostatica trans-rettale (per misurare il volume prostatico ed escludere la presenza di noduli), l’uroflussimetria (studio del flusso urinario e dell’eventuale mancato svuotamento della vescica)dosaggio del PSA (antigene prostatico specifico) nel sangue. Una volta ricevuta diagnosi di ipertrofia prostatica benigna, esistono accorgimenti in grado di mitigare l’andamento della malattia:

– seguire un’alimentazione varia ed equilibrata, prediligendo frutta, verdura e cereali integrali e limitando l’assunzione di grassi saturi (carne rossa, formaggi, salumi, fritti), spezie, alcoolici, caffè e crostacei;

– bere almeno due litri di acqua al giorno al di fuori dei pasti;

– svolgere attività fisica moderata e regolare.

Terapia – E’ possibile ridurre l’ipertrofia prostatica mediante l’utilizzo di farmaci (alfa-bloccanti ed inibitori della trasformazione del testosterone), il cui uso deve essere però soppesato insieme al medico urologo in rapporto agli effetti collaterali (calo eccessivo della pressione arteriosa, calo del desiderio sessuale, vertigini, astenia, impotenza, eiaculazione retrograda). Accanto a questi farmaci, esistono estratti di pianta che hanno dato prova di efficacia nella cura della IPB: tra questi Serenoa Repens (Saw Palmetto) e il Pygeum Africanum.

Quando l’ingrossamento della prostata provoca un’ostruzione del flusso urinario o la terapia farmacologica è insufficiente, è necessario un approccio chirurgico. La TURP, resezione prostatica trans-uretrale, è la tecnica di scelta per risolvere l’ostruzione urinaria dovuta a IPB: rispetto alla chirurgia tradizionale, questa tecnica endoscopica è gravata da minor invasività e minori effetti collaterali.

Tecniche endoscopiche: TURP. Se l’ingrossamento della prostata è tale da provocare un’ostruzione urinaria, la terapia farmacologica è insufficiente ed è necessario un intervento chirurgico disostruttivo. La chirurgia tradizionale è stata infatti soppiantata dalle tecniche endoscopiche, meno invasive: l’accesso alla prostata avviene per via trans-uretrale, e si procede alla resezione della parte centrale della ghiandola (anedoma), responsabile dell’ostruzione e della sintomatologia a essa associata. L’escissione può essere effettuata mediante laser ad Olmio (HOLEP, Holmium Laser Excision of the Prostate), con ulteriore riduzione dell’invasività e del dolore postoperatorio.

Calcolosi urinaria

La calcolosi urinaria è una delle più comuni malattie delle vie urinarie; consiste nella presenza di calcoli (dal latino calculus, sassolino) all’interno delle vie urinarie. Questo problema è molto frequente, interessando il 10% della popolazione maschile e il 5% di quella femminile. L’età più frequentemente interessata è tra i 30 e i 50 anni e la probabilità di recidiva varia dal 25 al 50% a 5 anni.

La calcolosi delle vie urinarie risente in modo importante della predisposizione dovuta alla familiarità; altri fattori di rischio riconosciuti sono una dieta squilibrata, la scarsa assunzione di liquidi, la sedentarietà e la presenza di infezioni urinarie ricorrenti.

I calcoli renali sono frequentemente derivati del calcio (ossalato e fosfato di calcio); più rari quelli di acido urico (che sono però in aumento nella popolazione italiana, a causa dell’alimentazione eccessiva e non bilanciata), di cistina (dovuti spesso a una malattia ereditaria chiamata cistinuria), di fosfati (dovuti a infezioni delle vie urinarie), di magnesio e di ammonio.

Il meccanismo con cui si creano i calcoli è la precipitazione di cristalli di sali che avviene in urine troppo concentrate. Fisiologicamente, le urine contengono delle sostanze, i citrati, che riducono la cristallizzazione dei sali, contrastando quindi il meccanismo di formazione dei calcoli. Quando la cristallizzazione diventa eccessiva, i sali sedimentano nei calici renali agglomerandosi a formare i calcoli.

I sintomi – Il sintomo tipico della presenza dei calcoli è la colica renale: un intenso dolore al fianco con possibile estensione anche all’addome e all’inguine, a volte accompagnato da altri sintomi secondari come difficoltà a urinare, febbre e vomito. Il dolore è crampiforme e ha andamento intermittente: aumenta progressivamente fino ad un apice per poi calare lentamente. La sintomatologia è legata non alla presenza del calcolo, ma al tentativo di eliminarlo mediante le contrazioni dell’uretere. Un calcolo renale che non si muove, non ostruisce e non è infetto non da generalmente sintomi o da un dolore modesto. 

La diagnosi – L’esame delle urine dimostra la presenza di sangue (ematuria, non sempre visibile a occhio nudo). Per confermare la posizione e la natura del calcolo si utilizzano:

  • l’ecografia (in grado di identificare possibili dilatazioni del rene e delle vie urinarie o la presenza stessa dei calcoli nelle cavità renali);
  • la radiografia (permette di visualizzare i calcoli eccetto quelli di acido urico, visualizzabili con l’ecografia, e quelli vicini all’apparato scheletrico);
  • lurografiapielografia (esame di secondo livello, indicato quando il calcolo non è altrimenti visualizzabile);
  • la TAC spirale (utilizzato solo in casi dubbi).

Può essere indicata una valutazione metabolica in presenza di calcolosi multipla o se si sospetti un interessamento sistemico, come in caso di gotta, sindromi da malassorbimento, ipercalcemia.

La terapia della colica – Per il ridurre il dolore si somministrano per via endovenosa antispastici, antidolorifici e antinfiammatori. Per i calcoli più piccoli, si aspetta l’espulsione spontanea dei calcoli in vescica, da cui verrà eliminato all’esterno attraverso l’uretra. L’espulsione spontanea dei calcoli può richiedere fra i 2 e i 15 giorni. Durante il periodo d’attesa, è importante mantenere un’alta idratazione corporea. 

Per i calcoli di dimensioni maggiori, è necessaria l’asportazione chirurgica, che può avvenire tramite:

  • via endoscopicaSi esegue una endoscopia delle vie urinarie fino ad identificare il calcolo, che viene quindi frantumato con un raggio laser (laser ad olmio) o con ultrasuoni. La procedura viene svolta in anestesia locale e dura circa un’ora.
  • litotrissia extracorporeaConsiste nel bombardare e frantumare il calcolo con onde d’urto generate da uno strumento esterno al corpo, il litotritore. Di solito è efficace per calcoli di dimensioni inferiori ai 2 centimetri.
  • il trattamento laparoscopico o robotico. Questi approcci innovativi servono a trattare calcoli superiori a 2 cm, che altrimenti richiederebbero un approccio più aggressivo (litotrissia percutanea e chirurgia a cielo aperto)
  • lalitotrissia renale percutaneae la chirurgia a cielo aperto. Sono i trattamenti chirurgici più invasivi, necessari per calcoli di grosse dimensioni, calcoli non frantumabili, calcoli a stampo (che occupano tutta la pelvi e i bacinetti del rene). La loro indicazione è stata ulteriormente ridotta dall’introduzione della chirurgia robotica e laparoscopica.

La prevenzione – Il miglior metodo per prevenire la recidiva dei calcoli renali è bere molto: in teoria almeno 2 litri d’acqua fuori dai pasti, ma in realtà anche quantità minori possono essere sufficienti. 

Il ruolo dell’alimentazione non è del tutto chiaro. L’assorbimento degli ossalati dipende sia da una predisposizione genetica che dall’esposizione alimentare. C’è evidenza scientifica che la riduzione dell’apporto di sale da cucina è protettivo, poiché esso aumenta la concentrazione del calcio nelle urine. Il ruolo della restrizione alimentare, limitando cibi ricchi di ossalato di calcio, deve essere valutata attentamente da un medico specialista in scienza dell’alimentazione, soppesandolo col rischio di osteoporosi. Clicca qui per vedere quali sono gli alimenti ricchi di ossalato di calcio. (LINK a domanda)

Infine, è opportuno ricordare che mentre un’attività fisica regolare è consigliata, alcuni sport di resistenza (corsa, marcia, triathlon ecc.) praticati in modo intensivo modificano il metabolismo del calcio e possono essere un fattore predisponente alla calcolosi.

La vescica è l’organo che raccoglie l’urina filtrata dai reni prima di essere eliminata dal corpo attraverso l’uretra. Il tumore della vescica è per frequenza il secondo tumore urologico e rappresenta circa il 3% di tutti i tumori. Colpisce soprattutto tra i 60 e i 70 anni e gli uomini sono tre volte più colpiti delle donne. 

I sintomi – I sintomi del tumore della vescica non sono specifici per la malattia, in quanto comuni ad altre patologie urinarie.

Il sintomo più frequente è la presenza di sangue visibile nelle urine (macroematuria), a volte con  formazione di coaguli. Altri sintomi comuni sono la difficoltà e il dolore a urinare, la maggior propensione a contrarre infezioni urinarie; la compressione esterna della vescica può provocare sensazione di bruciore.

I fattori di rischio – Nell’insorgenza del tumore della vescica è stato chiaramente dimostrato il ruolo scatenante di alcuni fattori di rischio. Il fumo di sigaretta è il principale fattore di rischio, seguito dall’esposizione cronica alle ammine aromatiche e nitrosamine (usate nelle lavorazioni dell’industria tessile, dei coloranti, della gomma e del cuoio). Fattori meno frequenti, ma da considerare, sono la precedente radioterapia pelvica, l’uso di alcuni farmaci  (ciclofosfamide e ifosfamide), le infezioni urinarie da alcuni parassiti diffusi in Medio Oriente (Bilharzia e Schistosoma haematobium).

Anche una alimentazione errata, con un consumo eccessivo di grassi e fritture, aumenta il rischio di ammalarsi di tumore della vescica.

Diagnosi e prevenzione – La diagnosi del tumore della vescica è basato sull’ecografia e la cistoscopia (esame endoscopico che permette la visualizzazione diretta e l’eventuale biopsia vescicale). Nei casi dubbi è di aiuto la ricerca di cellule tumorali nelle urine. In caso di diagnosi di tumore della vescica, è necessario valutare la presenza di eventuali metastasi mediante TC, PET e scintigrafia ossea.

Purtroppo non sono al momento disponibili procedure di screening utili. E’ quindi ancor più importante correggere i fattori di rischio, innanzitutto abolendo il fumo e seguendo una dieta sana. I lavoratori a rischio dovrebbero inoltre essere inseriti in programmi mirati di controllo.

Tipi di tumore – Il tumore della vescica può essere superficiale o infiltrante; può avere alla cistoscopia un aspetto papillare (cioè come piccole escrescenza) o, meno frequentemente, piatto o nodulare.

Le forme superficiali aggettanti in vescica vengono gestite con la resezione transuretrale del tumore, spesso associata a irrigazioni della vescica con sostanze antineoplastiche. Le forme più avanzate possono richiedere la cistectomia (asportazione dell’organo) parziale o totale.

Una volta asportato, il tumore tende frequentemente alla recidiva; tuttavia la sopravvivenza è complessivamente alta (in Italia, 80% a cinque anni).

Il tumore della vescica

La vescica è l’organo che raccoglie l’urina filtrata dai reni prima di essere eliminata dal corpo attraverso l’uretra. Il tumore della vescica è per frequenza il secondo tumore urologico e rappresenta circa il 3% di tutti i tumori. Colpisce soprattutto tra i 60 e i 70 anni e gli uomini sono tre volte più colpiti delle donne. 

I sintomi – I sintomi del tumore della vescica non sono specifici per la malattia, in quanto comuni ad altre patologie urinarie.

Il sintomo più frequente è la presenza di sangue visibile nelle urine (macroematuria), a volte con  formazione di coaguli. Altri sintomi comuni sono la difficoltà e il dolore a urinare, la maggior propensione a contrarre infezioni urinarie; la compressione esterna della vescica può provocare sensazione di bruciore.

I fattori di rischio – Nell’insorgenza del tumore della vescica è stato chiaramente dimostrato il ruolo scatenante di alcuni fattori di rischio. Il fumo di sigaretta è il principale fattore di rischio, seguito dall’esposizione cronica alle ammine aromatiche e nitrosamine (usate nelle lavorazioni dell’industria tessile, dei coloranti, della gomma e del cuoio). Fattori meno frequenti, ma da considerare, sono la precedente radioterapia pelvica, l’uso di alcuni farmaci  (ciclofosfamide e ifosfamide), le infezioni urinarie da alcuni parassiti diffusi in Medio Oriente (Bilharzia e Schistosoma haematobium).

Anche una alimentazione errata, con un consumo eccessivo di grassi e fritture, aumenta il rischio di ammalarsi di tumore della vescica.

Diagnosi e prevenzione – La diagnosi del tumore della vescica è basato sull’ecografia e la cistoscopia (esame endoscopico che permette la visualizzazione diretta e l’eventuale biopsia vescicale). Nei casi dubbi è di aiuto la ricerca di cellule tumorali nelle urine. In caso di diagnosi di tumore della vescica, è necessario valutare la presenza di eventuali metastasi mediante TC, PET e scintigrafia ossea.

Purtroppo non sono al momento disponibili procedure di screening utili. E’ quindi ancor più importante correggere i fattori di rischio, innanzitutto abolendo il fumo e seguendo una dieta sana. I lavoratori a rischio dovrebbero inoltre essere inseriti in programmi mirati di controllo.

Tipi di tumore – Il tumore della vescica può essere superficiale o infiltrante; può avere alla cistoscopia un aspetto papillare (cioè come piccole escrescenza) o, meno frequentemente, piatto o nodulare.

Le forme superficiali aggettanti in vescica vengono gestite con la resezione transuretrale del tumore, spesso associata a irrigazioni della vescica con sostanze antineoplastiche. Le forme più avanzate possono richiedere la cistectomia (asportazione dell’organo) parziale o totale.

Una volta asportato, il tumore tende frequentemente alla recidiva; tuttavia la sopravvivenza è complessivamente alta (in Italia, 80% a cinque anni).