Ipertensione arteriosa: cenni per un approccio di cura razionale

L’ipertensione arteriosa è il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di problematiche cardiache, cerebrali e vascolari e come conseguenza di ciò, è il fattore di rischio più frequentemente associato a mortalità prematura. La prevalenza dell’ipertensione in Europa varia tra il 20 e il 50% dei soggetti adulti.

La pressione normale nella popolazione non supera i 140/85 mm Hg in situazione di riposo fisico; l’ipertensione arteriosa viene definita in presenza di valori costantemente superiori a questi valori. Questo fatto implica una ovvia questione di metodo: per identificare la malattia, bisogna misurare la pressione con una frequenza che permetta di valutare il reale andamento di questo parametro. Nella fattispecie, la pressione sanguigna ha delle fisiologiche variazioni nelle 24 ore; misurare la pressione solo a un determinato orario della giornata può non consentire di identificare picchi pressori. Per questa ragione, il monitoraggio della pressione più preciso si ottiene con l’holter 24-ore, che misura la pressione 4 volte all’ora per 24 ore.

La terapia dell’ipertensione arteriosa consiste innanzitutto nel migliorare il proprio stile di vita. La perdita di peso, un’alimentazione corretta, una regolare attività fisica e la limitata assunzione di alcool sono fattori in grado di ridurre anche di molto la PA, come si evince dalla seguente tabella.

Modifica dello stile di vitaRaccomandazioneRiduzione attesa della pressione sistolica 
Riduzione del peso corporeo Mantenere un indice di massa corporea <20-25 kg/m2 e una circonferenza addominale < 94 cm (maschi) o < 80 cm (femmine 5 – 20 mm Hg per un calo ponderale di 10 kg
Dieta DASHDieta povera di grassi e ricca di verdura e frutta8 – 14 mm Hg
Ridurre l’apporto di saleAssunzione di < 5 g di sale al giorno2 – 8 mm Hg
Attività fisicaCamminare o correre per 30 minuti o più al giorno4 – 9 mm Hg
Moderare il consumo di alcoolNon più di due (maschi) o uno (femmine) bicchiere di vino al giorno 2 – 4 mm Hg
Semplici modifiche dello stile di vita sono in grado di ridurre i valori pressor

Inoltre, a volte l’aumento pressorio deriva dall’uso o dall’abuso di alcune sostanze tra cui liquirizia, cortisone, spray nasali vasocostrittori, pillola anticoncezionale e droghe quali cocaina e amfetamine.

Se nonostante le modifiche dello stile di vita la pressione resta sopra 140/90 mm Hg, bisogna inquadrare le cause dell’ipertensione (escludendo forme secondarie a problematiche di tipo endocrinologico) e iniziare una terapia cronica per ridurla. Il medico di medicina generale e il cardiologo sono le figure di riferimento per stabilire e monitorare la giusta terapia. Le classi di farmaci a disposizione sono molte (diuretici, beta bloccanti, ACE-inibitori, sartani, calcio antagonisti, simpaticolitici) e possono essere combinate tra loro in modo da ottenere un abbassamento soddisfacente in gran parte delle persone. 

Tuttavia, il medico deve essere ben conscio dei rischi associati alle scelte terapeutiche e degli approfondimenti necessari per stabilire la validità della terapia stessa.

Ad esempio, la terapia con diuretici può fare insorgere il diabete mellito, affaticare i reni e indurre problemi secondari tra cui molto frequente è la sindrome dell’occhio secco. 

Il controllo della pressione arteriosa deve essere convalidato da misure della stessa a intervalli prestabiliti; la frequenza cardiaca va a sua volta controllata. Inoltre un fondamentale supporto arriva dall’oculista che, grazie all’esame del fondo dell’occhio, è l’unico specialista in grado di ispezionare direttamente l’albero vascolare. Nei pazienti ipertesi l’esame della retina deve essere effettuato di routine (almeno una volta all’anno in situazione di compenso pressorio) e bisogna che l’albero vascolare sia normale – altrimenti è raccomandabile ridurre ulteriormente la pressione del sangue.

La distorsione di caviglia

La distorsione alla caviglia è un infortunio che consiste nella rotazione violenta o troppo veloce dell’articolazione. È il trauma più frequente nella maggior parte degli sport. 

Generalmente la distorsione di caviglia si verifica nei bambini, negli sportivi e nelle signore con i tacchi e determina dolore, edema (gonfiore), ematoma, limitazione funzionale.

La distorsione più comune è in assoluto quella in supinazione e flessione dorsale (il termine tecnico è inversione); il legamento peroneo-astragalico anteriore è comunemente interessato, mentre altri legamenti (peroneo-astragalico posteriore e peroneo-calcaneare) sono interessati solo nei casi gravi.

In genere una distorsione può causare stiramento o rottura di varie strutture articolari o muscolari: capsula articolare, tendini dei muscoli peronei, muscolo peroneo breve, muscolo peroneo lungo, muscolo peroneo terzo.

L’approccio fisioterapico prevede la riduzione del dolore attraverso terapie fisiche; il ripristino di una articolarità corretta; la guarigione e il miglioramento della qualità dei tessuti eventualmente danneggiati; la rieducazione propriocettiva; il rinforzo muscolare.

La scoliosi

La scoliosi è una deformità della colonna vertebrale conosciuta e studiata fin dall’antichità. Si presenta come una deviazione laterale e permanente della colonna vertebrale associata alla rotazione dei corpi vertebrali; di conseguenza, si formano una o più curve di compenso (con l’obiettivo di mantenere il cranio centrato sul bacino e sul perimetro di appoggio) che alterano aspetto e funzione della colonna e del tronco.  

Le scoliosi sono idiopatiche (cioè senza causa apparente) nel 70-80% dei casi; il rimanente 20-30% dei casi è dovuto a forme congenite o acquisite per traumi, infezioni, tumori o artrite.

Le forme insorte durante l’accrescimento possono risolversi spontaneamente grazie a un’attività sportiva adeguata a stimolare lo sviluppo corporeo in modo simmetrico. La diagnosi precoce è fondamentale per intervenire al più presto sul bambino per evitare che nella fase adolescenziale ci sia un peggioramento poi difficilmente trattabile.

Per evitare che la scoliosi peggiori occorre effettuare delle sedute posturali personalizzate che permettano al paziente di andare ad attivare quelle aree del sistema muscolo-scheletrico che hanno perso una corretta plasticità; può inoltre essere utile lavorare sulla meccanica respiratoria.

La lombalgia

Il “mal di schiena” o lombalgia è una patologia molto diffusa, soprattutto nelle persone che svolgono un’attività lavorativa prevalentemente da sedute. Colpisce almeno il 70% della popolazione almeno una volta nella vita; tipicamente l’esordio è tra i 30 e 50 anni di vita e tende ad aumentare di frequenza con l’avanzare dell’età. I sintomi classici sono pesantezza, dolore continuo in regione lombo-sacrale, rigidità o limitazione dei movimenti.

Il corretto inquadramento della lombalgia richiede uno studio radiologico e una valutazione ortopedica. Spesso vengono riconosciute anomalie vertebrali (scoliosi, artrosi, stenosi del canale vertebrale, spondilolisi, spondilolistesi, sinostosi); ancor più frequenti sono le alterazioni del disco intervertebrale (degenerazioni del disco, ernie).

Una volta correttamente inquadrato, il paziente con lombalgia cronica potrà giovarsi della fisioterapia, con lo scopo di ridurre il dolore e insegnare al paziente a proteggersi da un suo ritorno attraverso esercizi di allungamento e di potenziamento della muscolatura personalizzati.

Ernia cervicale. Come migliorarne i sintomi?

L’ernia cervicale è una patologia degenerativa del tratto superiore della colonna vertebrale. Il problema si manifesta a livello del disco che fa da cuscinetto ammortizzatore fra due vertebre cervicali contigue, il quale presenterà una sporgenza cuneiforme che andrà a comprimere le radici nervose di uno o di entrambi gli arti superiori. Questo può provocare dolore anche molto intenso al collo con irradiazione di dolore o formicolio lungo il braccio (cervicobrachialgia).

La valutazione del paziente con ernia cervicale richiede uno studio radiologico e una successiva valutazione ortopedica. Nei casi più severi, potrà essere necessario richiedere un parere neurochirurgico per valutare la possibilità di operare questa patologia. Nei casi iniziali, molto più frequenti, può invece essere di notevole aiuto un approccio fisioterapico: attraverso una valutazione globale del soggetto e la programmazione di esercizi specifici (da svolgere in sede e a casa) e terapie fisiche mirate, sarà possibile ottenere una riduzione dei sintomi e il miglioramento della qualità di vita del paziente.

Premenopausa e menopausa

La menopausa è il fisiologico cambiamento fisico che segue alla cessazione definitiva dei cicli mestruali della donna, dovuta all‘esaurimento dell’attività ovarica; pertanto la menopausa coincide col termine dell’età fertile.

La menopausa viene definita solo dopo un’assenza dei cicli per 12 mesi (menopausa conclamata); mediamente, la menopausa avviene tra i 48 ed i 52 anni, seppure ci sia ampia variabilità da donna a donna, legata a fattori genetici (l’età in cui mamma-sorelle sono andate in menopausa) e all’età della prima mestruazione (menarca). Una menopausa che insorga prima dei 40 anni è definita come precoce.

La premenopausa comprende gli anni che precedono la menopausa. Tale periodo può essere accompagnato da sintomi legati al calo estrogenico. Tra questi ricordiamo:

Le irregolarità mestruali: in premenopausa i cicli mestruali cambiano in durata e quantità e possono mancare per uno o più mesi per poi tornare regolari o scemare lentamente. In premenopausa il flusso può modificarsi, risultando abbondante, scarso o alternarsi a seconda del mese.

Le vampate di calore: sono un improvviso senso di calore diffuso al dorso e al tronco, a volte accompagnato da sudorazione intensa. Le vampate di calore sono più frequenti durante la notte ma possono essere anche scatenate durante il giorno da emozioni o sforzi fisici.

Aumento ponderale: il calo del livello di estrogeni rallenta il metabolismo e può portare la donna all’incremento di peso e alla ridistribuzione del tessuto adiposo (aumento del grasso addominale). In questa fase è pertanto importante rimodulare l’apporto nutrizionale e aumentare l‘attività fisica

Insonnia ed irritabilità: questi sintomi possono svilupparsi per il calo ormonale e vengono di solito facilitati dall’ansia legata all’incertezza e fragilità associate al cambiamento del proprio corpo e all’idea dell’invecchiamento

Secchezza vaginale: la diminuzione dei livelli di estrogeni a livello periferico determina una ridotta secrezione vaginale e vulvare, accompagnata da calo della libido. I rapporti sessuali possono diventare difficoltosi sebbene fondamentali anche in questo periodo della vita della donna: i tessuti infatti sottoposti a sollecitazione meccanica e sensoriale durante il rapporto tendono a rimanere più turgidi, rallentando il processo di atrofia.

I cambiamenti che si instaurano in questi anni possono richiedere una gestione multidisciplinare al fine di migliorare la qualità di vita della paziente: oltre alla normale gestione degli aspetti ginecologici, può essere opportuno farsi seguire da un medico specialista in scienze dell’alimentazione per le modifiche del metabolismo indotte dal calo ormonale, da un fisioterapista per ottimizzare la funzione muscolare del pavimento pelvico e, se necessario, da uno psicologo per ricevere un supporto in questa età di cambiamenti.

Si parla di menopausa conclamata solo un anno dopo l’ultima mestruazione. In menopausa, eventuali perdite ematiche sono sempre da considerare patologiche (perdite vaginali atipiche) e da indagare con visita ginecologica ed ecografia transvaginale urgente. In assenza di altri sintomi, in menopausa è comunque raccomandabile la visita ginecologica con ecografia e pap test annuale, al fine di prevenire eventuali patologie oncologiche, asintomatiche fino agli stadi avanzati.

Il ginecologo può essere di aiuto nella gestione dei cambiamenti fisici, legati all’ipoestrogenismo menopausale:

Atrofia vulvo-vaginale: il calo estrogenico periferico causa una progressiva riduzione dell’elasticità di vulva e vagina, associati a secchezza e prurito vaginale, bruciore vaginale, alterazione del pH vaginale con conseguenti possibili perdite vaginali patologiche, disuria (bruciore durante la minzione), dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali fino alla loro impossibilità). L’atrofia vulvo-vaginale è molto frequente in menopausa, dato che colpisce circa una donna su due, e può essere contrastata con la terapia.

Vampate di calore: le vampate possono esordire in premenopausa e solitamente durano dai 2 ai 5 anni dopo l’insorgenza della menopausa, per poi risolversi spontaneamente negli anni a seguire.

Insonnia ed irritabilità

Prolasso: questa importante patologia consiste in un abbassamento degli organi pelvici (vescica-utero-retto) attraverso la vagina a  dell’indebolimento del pavimento pelvico. 

Incontinenza urinaria: perdita involontaria di urina. Distinguiamo incontinenza da sforzo, cioè perdita di urina legata a piccoli sforzi come uno starnuto, un colpo di tosse, il sollevare un peso anche di lieve entità; parliamo invece di incontinenza da urgenza quando in seguito allo stimolo urinario, vi è una necessità impellente di mingere e talvolta la donna non riesce ad arrivare ai servizi in tempo. L’incontinenza da urgenza dipende da un’ipercontrattilità del muscolo detrusore della vescica, quella da stress, invece, deriva da un’ipermobilità uretrale e da una riduzione del tono dello sfintere uretrale. In entrambi i casi si tratta senza dubbio di una condizione invalidante per la quotidianità della donna ma nella maggior parte dei casi risulta essere risolvibile o quantomeno migliorabile.

In presenza di questi sintomi, è consigliabile cercare il prima possibile il supporto specialistico, in modo da consentire una gestione precoce e di successo.

Patologia della statica pelvica (prolasso utero-vaginale) e incontinenza urinaria

Le patologie del pavimento pelvico si presentano con diversi sintomi quali senso di peso perineale, ritenzione o incontinenza urinaria, prolasso vescicale, uterino e rettale, patologie infettive croniche (vulvo-vaginiti croniche), dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia), e disturbi della defecazione quali stipsi e incontinenza fecale e infine, dolore pelvico cronico. 

L’approccio corretto a questa problematica parte da un inquadramento ginecologico. A volte l’analisi necessita di ulteriori esami specifici mirati all’inquadramento completo della problematica. Il trattamento spesso richiede l’interazione di più specialisti (ginecologo, urologo, proctologo, fisioterapista e dietologo).

Durante la visita ginecologica si raccolgono informazioni sulla storia clinica personale (gravidanze, interventi ginecologici e urologici; obesità) e sulla familiarità per questa patologia. La visita è mirata all’ispezione della regione genitale, pelvica e pelvi-perineale, con eventuale ecografia pelvica trans-vaginale e trans-perineale. 

L’obiettivo della visita è stabilire eventuali anomalie pelvico-perineali, la tonicità del pavimento pelvico e a valutare disturbi  urinari e della defecazione.

Una muscolatura del pavimento pelvico allenata e tonica ha un effetto positivo a lungo termine sul benessere psicofisico della persona. Valutare la funzione perineale permette di indirizzare la paziente verso un percorso idoneo e personalizzato (rieducazione del pavimento pelvico). La riabilitazione del pavimento pelvico svolge anche una importante funzione preventiva nel corso della gravidanza e nel puerperio, nella prevenzione dell’incontinenza urinaria, nel miglioramento della qualità sessuale e nella riduzione dei disturbi della statica pelvica (prolasso genitale).

Dismenorrea

Col termine dismenorrea si definisce la presenza di dolori associati al ciclo mestruale. In alcuni casi, la sintomatologia è facilmente controllabile mediante l’assunzione di antidolorifici; per alcune donne, invece, si tratta di un problema debilitante che interferisce con lo svolgimento delle normali attività quotidiane.

La dismenorrea può non avere cause ginecologiche sottostanti (dismenorrea primaria) oppure può essere sostenuta da patologie d’organo (tipicamente endometriosi, fibromi, miomi uterini, infezioni e malformazioni utero-vaginali). Il ginecologo è di aiuto nell’escludere la presenza di patologie che sostengano i sintomi e supportare le giovani donne nel controllare questo problema.

Quali sono i sintomi della dismenorrea?

La dismenorrea è caratterizzata da un dolore crampiforme o colico della parte bassa dell’addome, con estensione alla parte bassa della schiena e agli arti inferiori. Può essere associata a nausea, vomito, vertigini, lipotimie, sudorazione intensa e diarrea.

La dismenorrea primaria compare uno-due giorni prima delle mestruazioni e dura per 12-72 ore; tipicamente il dolore si riduce con l’avanzare degli anni e dopo la prima gravidanza. Nella dismenorrea secondaria, il dolore è tipicamente di durata maggiore.

Quanto è frequente la dismenorrea?

La dismenorrea è un problema molto frequente e colpisce in particolare le ragazze sotto i 20 anni.

La dismenorrea è più frequente in:

– donne che hanno avuto il primo ciclo prima degli 11 anni

– donne con mestruazioni abbondanti o irregolari

– donne con familiarità per dismenorrea

– fumatrici

– donne che non abbiano ancora avuto figli.

Diagnosi della dismenorrea 

La diagnosi di dismenorrea primaria avviene mediante una visita completa di ecografia transvaginale. In caso di sospetta dismenorrea secondaria possono essere prescritti ulteriori esami diagnostici (isteroscopia, laparoscopia, risonanza magnetica).

Trattamenti della dismenorrea 

Non esistono strategie efficaci per prevenire la dismenorrea, anche se uno stile di vita sano e una maggiore attenzione nel seguire una corretta alimentazione spesso sono fattori utili per ridurre i sintomi. A volte si ricorre all’integrazione con magnesio in fase pre-mestruale per ridurre gli spasmi muscolari.

Il trattamento dei sintomi si basa su farmaci antinfiammatori non steroidei; si può ricorrere alla pillola anticoncezionale che inibisce la crescita endometriale, l’ovulazione e riduce l’intensità degli spasmi dell’utero. Nelle forme secondarie, l’identificazione e il trattamento della patologia sottostante consente un controllo della dismenorrea.

Endometriosi

L’endometriosi è una patologia dell’età riproduttiva molto frequente: colpisce più di 3 milioni di donne in Italia. In questa malattia il tessuto endometriale, fisiologicamente presente all’interno della cavità uterina, cresce al di fuori di questa sede. La sede interessata più di frequente è la cavità addominale (peritoneo, ovaio e tube, utero, intestino, vie urinarie); più rare sono le crescite a distanza (polmone, ombelico, cervello).

L’endometriosi è una malattia cronica perciò i tessuti colpiti soffrono di un’infiammazione persistente; a lungo andare, tale processo determina lo sviluppo di aderenze, cicatrici che connettono tra loro gli organi della pelvi e dell’addome, giustificando la comparsa del dolore cronico, tipico di questa patologia.

Cause

L’endometriosi non ha una causa riconosciuta con certezza. Una delle teorie più accreditate è la mestruazione retrograda, in cui il flusso mestruale rifluisce per via retrograda attraverso le tube di Falloppio all’interno della pelvi, dove le cellule endometriali si impiantano. E’ noto un ruolo fondamentale da parte del sistema immunitario nel determinare il mancato riassorbimento di tali cellule. Infine, è chiara una predisposizione genetica, esiste infatti una familiarità nello sviluppo di tale patologia.

Sintomi

– Dolori mestruali (dismenorrea), con tendenza ad aumentare di durata, estendendosi progressivamente oltre al periodo mestruale

– Dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia)

– Dolore pelvico cronico

– Riduzione della fertilità o infertilità

Diagnosi

Il ginecologo viene indirizzato alla diagnosi corretta dalla sintomatologia. Spesso durante l’esame obiettivo e durante il controllo ecografico sono evidenziabili segni che attestano la presenza della patologia. In casi più sfumati, in assenza di fattori obiettivabili ma tuttavia se la sintomatologia algica è resistente alla terapia è necessaria l’ispezione della pelvi in laparoscopia.

Terapia

Le donne affette da endometriosi necessitano terapie specifiche, mirate alla riduzione del dolore, alla cura dell’eventuale infertilità e a gestire possibili complicanze. La terapia di scelta è quella ormonale, con l’obiettivo di ridurre la progressione di malattia e la sintomatologia dolorosa; la terapia ormonale deve essere cominciata il prima possibile e continuata in maniera cronica. Se la terapia ormonale è controindicata o poco efficace, è invece indicato un approccio chirurgico laparoscopico per asportare i noduli e le cisti di endometriosi.

Il sanguinamento uterino anomalo

Il ciclo mestruale femminile è regolato dagli ormoni ipotalamo-ipofisari (GnRh, FSH, LH) che stimolano l’ovaio a secernere altri ormoni (estrogeni e progestinici) che, a loro volta, stimolano la crescita dell’endometrio (il rivestimento interno dell’utero).

L’endometrio quindi subisce delle continue modificazioni ritmiche il cui esito è rappresentato dal ciclo mestruale. La prima mestruazione (menarca) si verifica di solito intorno agli 11-12 anni. Le successive mestruazioni si ripetono ogni 21-35 giorni per una durata di 3-7 giorni. 

Nel caso in cui vi sia un’alterazione di questo ritmo si parla di irregolarità mestruale o di sanguinamento uterino anomalo.

Le cause di sanguinamento anomalo possono essere molteplici. Il ginecologo dovrà escludere una serie di patologie locali: polipi, iperplasie o tumori dell’endometrio; endometrite; miomi uterini. Inoltre, dovrà valutare l’interazione di farmaci in uso ed escludere la presenza di squilibri ormonali e di alterazioni della coagulazione del sangue.

La diagnosi necessita quindi dello studio dello stato ormonale e della coagulazione tramite esami del sangue e di esami locali (visita ginecologica, ecografia, sonoisterografia; in casi selezionati può essere necessario ricorrerere all’isteroscopia o alla risonanza magnetica).